giovedì 29 ottobre 2015

EXPO MILANO 2015 - La mia opinione personale-

Dunque, entrerò nel parlarvi dell'Expo 2015 ormai giunto a termine in zone per argomentarlo a me sicure e certe -per come ho sempre fatto nelle opinioni in questo blog- e avrò l'onestà intellettuale di dire che no, a questo Expo in effetti io non ci sono andata.
Tuttavia conosco quel forse poco che mi basta conoscere cioé fatti semplici ed oggettivi, non interpretabili, e da questi posso avere la serenità per dire anche io la mia. 

Premetto un distinguo, cioé che un'opinione serena non é polemica volta a notare il male nelle cose e né in modo puntiglioso perché essere realistici nulla ha a che vedere con il pessimismo distruttivo: Per quanto mi riguarda so esprimere gratitudine in ogni ambito, trovare del buono anche in cose non buone e insomma per farvela breve mi basta poco per essere felice, girare per esempio per la mia Milano o anche stare seduta in una panchina vicino casa o in uno dei nostri parchi della città per molto tempo anche. Lo stupore non mi manca dunque, ma ciò non considera non osservare delle cose ingiuste. 
Sono dispiaciuta un pò per questa occasione importante mancata dalla nostra Milano, che ha incominciato a mobilitare i lavori tardivamente un pò come uno scolaro ritardatario e di sospetto poco entusiasmo a mantenre l'impegno. Molte zone e cantieri fino all'ultimo erano ancora a tutt'altro che ottimo punto persino a maggio cioé poche settimane se non giorni dall'inaugurazione di questo evento, poi di colpo la magìa, tutto si é innalzato improvvisamente! Ma per forza, avevano innalzato scatoloni perfettamente vuoti o quasi scarni nel loro contenuto e nel loro aspetto!
Tutti soldi spesi per questa impresa ambiziosa che avessero almeno avuto umiltà di affermare, non ce la facciamo per tempo e noi ci terremmo invece a far le cose bene, vi assicuro che sarebbe stato molto più dignitoso e nobile che questi sotterfugi pavidi a finire una commissione che di fatto:
Non ha comunicato il messaggio di fondo dell'evento, cioé l'alimentazione in tutto il mondo e la sua distribuzione equa, oltre che intesa come alimentazione sana e quanto altro. Un evento sul cibo dove mangiare era poco fattibile. Boh. Libricini informativi zero. Nessuna possibilità di comprare qualcosa, una spezia esotica o altro, forse sono ignorante ma é anche così che coinvolgi in un discorso se -SE- é un discorso che riguarda tutti. Nessuno dice che debba essere solo una festa, ma mi chiedo allora che ibrida situazione abbiano realizzato, io non l'ho capito. 

Andando lì a questo Expo ci si fa solo una vasca infinita in cui dopo poco ti trascini coi piedi e spesso buttandoti in qualche piattaforma o panchina, che puntualmente occupate ti fan scegliere di spalmarti per terra a momenti. Molti sono più in forma di così lo so, ma altrettanti no e tanti altri ancora da persone in età a disabili anche non necessariamente gravi hanno trovato -é una certezza- un certo disagio e difficoltà solo in questo tragitto infinito dove non c'é nessuna guida che ti spieghi, nessuna anima che ti aiuti dove andare o se tu abbia una qualche necessità ma solo ogni tanto un baracchino viandante di provvigioni basiche cioé panini e poco altro. Nessuna pretesa logico, ma vi ricordo un biglietto che costa circa 40 euro a persona e di solito uno non ci va da solo né viene sempre da vicino un questo marasma misterioso che infine da buon evento per la sana ed equa alimentazione ti conduce e convoglia come gli altri verso un grosso Mc Donald -pure impossibile da gestire giacché pieno zeppo più di un Mc Donald normale visto che al termine di questa camminata lo stomaco volere o volare brontola-. 
La tratta dunque e solo la tratta, quasi isolata o comunque stridente nel suo aspetto con la mia Milano che é tanto bella e dovremmo anche smettere di confrontarla con le città del sud, ogni città é unica e fare un discorso di paragone di ricchezza artistica o altro ci ha già rotto le balle: Una città non é questo, inoltre, ma la cura e l'amore che ha verso sé e i propri cittadini ben coinvolti in un entusiasmo possibile. Ecco appunto, non amore, perché é questo che risulta evidente dai padiglioni realizzati.
Zona Porta Ticinese, la vecchia Milano

La mancanza di amore e dedizione per questo progetto ambito masochisticamente a grandioso, quando sarebbe bastato far molto meno e però di più appunto, bene. Sarebbe stato umile anche questo, ma capisco che chi abbia interessi economici come valore anche sopra le proprie esistenze non comprenda facilmente il concetto...permettemelo ma é un atteggiamento che mi fa incazzare, perché coinvolge la mia Milano, i milanesi, la mia Italia e coinvolge pure tutto quello che nel tempo ha innalzato Milano con dedizione e cultura o ripeto a dire un atteggiamento.
So di un padiglione, non ne citerò altri perché mi é sufficiente questo, anche se ho ben ascoltato il racconto di mia sorella della sua giornata intera all'Expo. Lei non é un tipo che parte prevenuto, e comunque é quel che ha visto. Mi sembra che nella zona messicana, o cubana, ci sia come una stanza dove si entra e si esce. Vuota. Scarna, ma uno sforzo lo hanno fatto, metterci un signore che offre del caffé, ciò é triste. Fossi cubano inoltre ci rimarrei male a vedermi rappresentato da una stanzetta con un distributore di caffé. E così tutti gli altri paesi che si ha avuti l'onore di interpretare funzionalmente al discorso cibo nel mondo. Per il resto, allestimenti fatti tanto per fare questo trapela in modo cristallino, é come quando per ritornare allo scolaro di prima egli esegua sì il tema tanto per riempire il foglio ma poi che ci sta?
La cura nelle cose non é sicuramente il messaggio comunicato in questo evento che é espressione di spreco puro e che parla e cita di non spreco e progresso e impegno.
Una cafonata -una giargianata direi- dall'inizio fino all'albero della vita, con sta musica a palla da discoteca che ad un certo punto mi fa pensare che qualcosa di buono l'expo lo ha avuto: Qualcosa per cui parlare e farsi due stanche risate.


venerdì 18 settembre 2015

MENDICANTE di Escluso Mortimer

Questo libro di 128 pagine con su per giù la stessa abbondanza di composizioni poetiche (!) é altra opera di Escluso Mortimer che con tale quantità di poesie mi sembra evidentemente scritta di getto come fiume in piena che scorga dal cuore e possa sfociare ad un ascolto sperato.
Ed é proprio la mano tesa, un semplice abbraccio, una carezza un'umanità insomma che tutti noi mendicanti tanto speriamo a volte con disperazione o anche semplice attesa, che spesso nel tempo disillusa sempre più lascia un'amarezza indescrivibile.
Ma Escluso sa descrivere in verità, lungo tutto il libro senza convinta pretesa di offrire soluzioni o risposte assolute alla fine, per quanto vi siano passaggi di fiducia ma essi son più simili a rituali di automotivazione. Più la sua virtù é condividerci semplicemente quel che essendo comune a tutti noi non ci fa sentire soli nella sorte chiamata esistenza.
Mendichiamo amore, poiché nessuno é più povero di chi privato di amore e di chi ancor più non é in grado di sentirlo né donarlo: Questo é un aspetto sociale da non sottovalutare per quanto semplice, il mondo lo notiamo bene, ha sempre più difficoltà nel gestire la sua umanità ed ecco che questo libro del 2013 é e forse sarà sempre più attuale. 
Il messaggio sostanzialmente é questo, ma non solo o meglio, il libro percorre moltissimi toni all'argomento: Dal tema dell'amore perduto o impossibile, alla ricerca di ascolto da parte di anche solo una persona, alla Solitudine, al concetto di tempo che inesorabile passa e dunque al rapporto con noi stessi, il passato il presente ed il futuro (che é una poesia all'interno del Mendicante), il sentirsi diversi e soli in una società basata sulla produttività e sul Sistema -Sistema che intenda renderci assenti di pensiero e schiavi delle nostre egoiste pulsioni-.
Per quanto riguarda il tema dell'amore Mortimer resta sempre molto cauto e delicato, appena sfiora la sua amata e solo nei suoi sogni gli basta un sorriso di lei per appagarsi, qualcuno potrebbe scalpitare e lamentare che si arrivasse a dei passaggi ogni tanto anche erotici o più forti. In verità io credo sia proprio questo tipo di espressione a poter fare bene intendere una forte carica ad un punto rimasta delusa, ma penso pure che la poetica di Mortimer sia sempre molto onesta in quanto lui per un percorso di vita di cui non sappiamo a fondo ma che intuibile se si voglia seppur vagamente da queste poesie, é rimasto profondamente più ferito dalla violenza nel mondo e il suo amare é dunque autenticamente rispettoso e disinteressato.  A questo sentire l'amore si allaccia il concetto della Solitudine, un uomo tra la gente che con tali sentimenti e modi di pensare non viene capito o beffa della sorte é sempre frainteso; Noi siamo quelle persone tra la moltitudine non veniamo accolti né capiti poiché l'altro nell'osservarci ci riempie di cose che non ammette siano sue. 
Poi appunto, il tempo che passa inesorabile di fronte a tutto ciò ci appare con la sigaretta accesa o quasi spenta o spenta del poeta che riflette sulla sua vita, appieno come la maggiore paura la paura di rimpiangere di non aver vissuto pienamente. Dunque l'argomento é parecchio ricco e forte, ed é impossibile non riconoscerci in questa deprivazione di amore chi più chi meno.
Come formulata poi in maniera stilistica, beh sappiamo che Mortimer lo dissi già a suo tempo con l'opinione per Sul filo di internet non ama affatto virtuosismi e diciamola tutta, la maggior parte dei suoi sonetti non é particolarmente ricercata o raffinata. Ma é proprio questa la virtù della scrittura di Mortimer, egli scorre coi sonetti come appunto quel fiume in piena senza badare troppo a come fare e la sua semplicità rende un tema impegnativo degno di ascolto e interesse, la sua ripetitività frequente visibile per esempio in affermazioni che sembrano divenire dei motti, delle tipicità (le ossa rotte, la sigaretta spenta, ti amo, ti sogno, la foce ecc.) é in verità una spiccata autoironia che unita a qualche sonetto che strappa persino un sorriso se non pure una intenerita risata svela la generosità immensa di Escluso di sentirsi niente ma di proporre la Solitudine con la fiducia verso prati e fiori e tutto quanto dato per scontato, a noi che magari non oseremmo in questa misura da poeti o scrittori con necessaria autostima e impegno questo umile rischio di escludersi e di includere. 


venerdì 11 settembre 2015

George Orwell.1984


di Fiammetta Lozzi Gallo
Foto tratta dal sito www.leadindianews.com
1984 (1949) è una delle più tetre distopie scritte nel ‘secolo breve’.
Orwell fonde i peggiori incubi della sua forza visionaria con la critica contro ogni totalitarismo, che fu materia di tutti i suoi scritti dopo aver visto l’ideologia comunista soffocata dalla morsa del potere di Stalin.
Già qualche anno prima, ne La fattoria degli animali (1946), lo scrittore aveva ironizzato ferocemente sul falso egualitarismo stalinista. Ora, in 1984, immagina una forma di governo dittatoriale basata sul Socing (Socialismo inglese), ideologia che toglie ogni libertà all’individuo, sotto lo sguardo continuo, intrusivo e penetrante del  (continua a leggere...)

domenica 21 giugno 2015

PRECARIOPOLI di Fabio Lastrucci

Non molti giorni fa ho deciso di ripristinare la rubrica Le recensioni di Roby e penso sia buona idea anche proseguirne qui per come potete notare nei post più vecchi del blog. Non essendo per nulla competente né granché lettrice ma soprattutto per mia "filosofia" di fondo queste "recensioni" anche future saranno logicamente sempre gratis, lo ricordo... :)  Penso poi tra le cose sia stimolante e prezioso agire in prima battuta su quel che lamentiamo attorno scarseggi piuttosto che donare cose seppur piccoline che spereremmo ogni tanto e non osiamo mai chiedere. Mi aiuta! 
In questo caso si parla di scrittori esordienti parecchio meritevoli ed io in qualità di portatrice costante di penna posso forse non capire appieno quanta gioia comporti l'essere letti? E l'essere letti non é solo un interesse ricevuto in superficie di pagina, una qualche stima ma un ascolto dei nostri sentimenti più profondi elaborati in fantasie di cui ci sfugge potenza a noi scrivani per primi...ma molto altro ancora di cui si potrebbe scrivere almeno un paio di lunghi articoli nel blog. 
La mia scelta ha anche un egoismo estremo e raffinato a ben vedere perché di fatto, tutto ti torna sempre e non intendo solo per una qualche maggiore visibilità al blog. Con le mie recensioncine di fatto, leggo, tra le cose. Dopo questa lunga premessa vi parlo ora di Precariopoli. 
Narra di un gruppetto di disoccupati amici a zonzo in zona Napoli che spesso si ritrovano al bar e tra loro e le loro buffe argomentazioni il limpido e ingenuo Mario e la sua mirabolante incredibile ricerca di un impiego.
Fabio Lastrucci nel donarmi questo libro colse questa opportunità come molti altri e questo entusiasmo mi ha fatto molto piacere, non solo perché così avrei avviato la rubrica con già molto materiale ma per l'entusiasmo stesso. Implicitamente devo aver voluto comunicare oltre un umile sostegno da collega anche di poterne beneficiare come approccio insomma a non starsene eventualmente troppo modesti sempre perché io stessa li avrei accolti. Come sapete le mie definite affettuosamente recensioni sono poi solo opinioni.
Non avevo capito molto bene da lettura veloce del messaggio in chat, perché io sono così saltello veloce tra mille cose ^^ immaginandomi dunque una specie di saggio sul mondo del lavoro e crisi economica incominciai, risolvendo presto che invece la scelta di raccontarne l'attuale grave e direi tragica problematica attraverso un breve romanzo dai toni umoristici era già una delle virtù più belle del libro di Lastrucci. In tutta la storia si scorre tra passaggi spassosi e divertenti che, non solo per la tematica affrontata ma anche per la storia narrata e ben ideata assumono colori più ricchi e completi: Sbucano presto e con impeto dunque nel lettore un umile ascolto, una riflessione spontanea e solleticata in modo riuscito su che diamine di situazione si sia e cosa possa comportare al di là della storia e di passaggi surreali che infine ci svelano in sintesi e immagini quanto in realtà ahinoi corrispondano. Ma appunto se il contenuto di fondo sa essere amaro anche con possibilità di sorriderci su, questo pure mi piace!
Vi sono qui e là immagini nella storia che mi han fatto notare più del resto la capacità stilistica di Fabio. Metafore, analogie di poche parole che ho trovato brillanti e ulteriormente spassose. 
Poi é abbastanza inevitabile non riconoscersi o comunque non riconoscere il protagonista Mario con tutte le sue sfighe nere, di un nero pece come sanno essere i pretesti surreali e gli indugi ad un problema di fondo ben più importante, se avete presente :) com'é spesso la vita o come noi con lei...  Quindi poi di Mario l'onestà la sua gentilezza e la sua titubanza di fondo; I personaggi sono altro punto forte, per esempio il Signor Borrelli ma insomma davvero tutti. 
Mi sono piaciuti molto anche diversi passaggi legati al Borrelli sia per spiccata coloritura che nel suo raccontare una pessima realtà ormai diffusa e normale, dunque trovo epica la parte finale con la commissione e tutto il resto, incisiva e toccante!
Molto bello questo lavoro di Fabio e felice di averlo letto, mi aiuta a capire anche perché io non ne so nulla di lavoro dunque di mancanza di lavoro. E' bella anche la descrizione che fa tra i personaggi di un mondo relazionato che io non ricordavo come per esempio la gincana per sfuggire all'attacca bottone Rodolfo, e molto altro nel libro. Grazie Fabio. 
Ve lo consiglio per un punto di vista interessante su un problema sociale tanto importante, indi per cui accattativill!


martedì 3 febbraio 2015

UNA DELLE TANTE RAGIONI DI SCUOLA PIETRE

Sono arrivata a un punto del mio pensiero non so dirvi se oltre o strano
che considero la scuola preziosa perché ti permette determinanti nozioni per la vita
oltre che esperienze sociali indelebili, nel bene e nel male ma restano importanti
a scuola siamo appunto tutti sullo stesso piano, o dovrebbe essere un pò così, e poi insomma tutto il resto 
Però oggi vedo la scuola nitidamente come un altro -il più importante forse- stumento di Sistema, e non riesco a tornare indietro nei passi dal pensare ciò

A sei anni devi imparare a svegliarti alle 6 del mattino e ciò non ha niente di naturale dunque non é rispetto della natura anzi solo forzatura masochistica, nel precoce nome del "dovere e basta"
fare i compiti di matematica nei pomeriggi o in estate quando dovresti spassartela alla grandissima
e tutto questo responsabilizzarsi per cosa? Qualcuno qui vede un mondo responsabile?
O per essere come Chaplin in The modern Times? essere un altro burattino automa super collaudato per il lavoro e l'efficienza? Dei prodotti che comprano prodotti che producono rendendoli prodotti?

E la felicità? La libertà? Il saper vivere con gli altri nel rispetto? L'affrontare la vita?
 
Cosa ne é di noi quando ci riempiono di tutte quelle superflue nozioni su Carlo Magno e i visigoti a nove anni?
Cosa ne é di noi quando fin da piccolini siamo nella mani di troppa gente -non me ne vogliano i prof in gamba e di cuore che non sono affatto pochi a loro volta poiché io stessa ne ho ben conosciuti e voglio loro tanto bene, mi han dato tantissimo- che evidentemente non coglie o non vuol cogliere quale immenso onore e quale responsabilità sia educare e trasmettere qualcosa a una creatura o a un ragazzino?? Andiamo in posti esterni affollati di gente che manco conosciamo bene e ci stiamo per quasi tutta la giornata lontani da mamma e papà, i quali potenzialmente parecchio fallibili intendiamoci ma proprio per questo dunque si spera che qualche anima esterna possa esserti amica o riferimento specie quando qualcuno ti maltratta o sussiste disagio e tu non sai a chi caspita dire.
Affidati spesso a certi maestri e prof e a volte sanno pure gli adulti stessi discriminare o non permettere per fare un esempio scemo e poco rilevante magari una mensa adeguata o salutare per un bimbo!
Cosa ne é di noi quando gli stessi adulti ci insegnano che le scelte dipendono da gente "in alto a noi" o che non si può sempre affrontare un confronto o un dialogo ecc.
Come insomma un adulto per il fatto di essere un adulto adeguatosi a tutto ciò può prendersi l'arroganza di educare e determinare la vita di una persona nata libera e capace??

domenica 1 febbraio 2015

La bossa nova -terza e ultima parte-

Gli inizi degli anni '60 hanno per colonna sonora qui in Italia il genere rock'n roll-melodico-jazz con i cantanti cosìdetti urlatori come il clan di Celentano, piuttosto che Modugno, Mina, lo swing di Buscaglione, la sonorità allegra partenopea (contaminata di afroamerica e nord africa) tipica di Carosone nonché dal proseguirsi della melodia napoletana (il primo festival é noto che fu quello della canzone napoletana, l'icona stessa del nostro paese da sempre e forse per sempre).
Senza sconfinare troppo oltre l'Italia accenno al massimo sulla nascita contemporanea alla bossanova del genere soul in nord America attraverso etichette discografiche come la Tamla Motown, e un gran numero di artisti come Ray Charles, l'amico Quincy Jones, il cubano Mongo Santamaria, e poi ancora Herbie Hancock, Lalo Schifrin, John Coltrane e infine ma non certo meno influenzanti i Beatles in Inghilterra, e tantissimi altri che già senz'altro conoscete bene o avete sentito nominare più di una volta.
In tutta questa atmosfera la bossanova si colloca come imperante sottofondo che ispira tutti o quasi, per esempio la stessa Mina. Molte canzoni brasiliane vengono più volte riprese in varie salse da tanti musicisti o cantanti legati in qualche modo al vastissimo filone jazz e/o melodico.
Samba de uma nota sò, di Tom Jobim, ne é l'esempio più evidente, una semplice e orecchiabile struttura musicale che é un altro successo mondiale di inizi anni '60 (la mia preferita é l'interpretazione dei Coral de ouro preto -1961- davvero molto bossa, quasi un carosello), così come quasi un lustro dopo un successo dei Tamba Trio come Mas que nada (Jorge Ben), il brano diventa il cavallo di battaglia di un musicista cosmopolita e sperimentale come Sergio Mendes insieme alle coriste e gli altri del gruppo Brasil '66.
Attorno alla metà degli anni '60 la bossanova assume una sfumatura meno spensierata e romantica come daltronde in linea con lo spirito giovanile dell'epoca in ogni angolo del mondo, per esempio con Edu Lobo piuttosto che Caetano Veloso o Gilberto Gil. La famosa cantante dalla voce dolce e pastosa, Sylvia Telles, dopo molti successi muore in un incidente nel 1966, proprio quando la voce rauca e corposa di Elis Regina  inizia ad essere conosciuta (Zazueira é del 1973, O Barquinho -di R. Menescal- dopo quasi un decennio viene interpretata da Elis nel 1969) e diviene forse la cantante brasiliana più famosa in tutto il mondo.
Altra canzone celeberrima é Aguas de marco (pioggia di marzo) poesia sul mistero dell'amore di Tom Jobim e duettata con Elis nel 1974.
La bossa come dice un brano cantato da Toquinho e Jobim (Carta Tom '74) guarda ormai con nostalgia i gloriosi tempi dell' Amor em paz, dell'esplosione di sentimenti che l'ha fatta nascere nei tardi '50, e dice ancora, bisogna farsene serenamente una ragione.
Eppure dopo circa una ventina d'anni la bossanova, ascoltata ora col filtro del Senno di poi, vive una seconda rinascita, nessuna produzione o artista inedito valente i precedenti a mio parere, ma l'inizio di un percorso musicale di poca gente che spesso passa per sonorità easylistenig, funky ed acid jazz e che conduce alla riconoscibilità del termine e del genere bossanova ai più proprio dopo cinquant'anni da Chega de saudade.
 

sabato 17 gennaio 2015

Bossa nova seconda parte

Descritta per sommi capi le caratteristiche più importanti della bossa direi di passare a qualche citazione di artisti e canzoni, prima però concludo questa premessa. Il lancio mondiale del genere bossanova risale al 1959, quando uscì uno dei più famosi film brasiliani, Orfeo Negro, una produzione con musiche di Antonio Carlos Jobim e Luiz Bonfà la cui storia drammatica ruota tutt'attorno all'atteso giorno del Carnevale di Rio. Le famose canzoni A felicidade (Jobim, Vinicius de Moraes), Manha de Carnaval (Bonfà, Antonio Maria), Samba de Orfeo divennero grandi successi che senz'altro portarono l'oscar al film ma soprattutto il riconoscimento a "Tom" Jobim e gli altri autori ed interpreti al di fuori del paese. La nascita della bossa però si fa risalire all'anno precedente, con Chega de saudade suonata da Joao Gilberto lanciando appunto questo stile particolare, cadenzato. Garota de Ipanema é probabilmente la canzone brasiliana in assoluto più famosa ed é del 1959, reinterpretata da tantissimi artisti più o meno jazz in ogni parte del mondo, apparte Astrud Gilberto e i noti duetti con il sassofonista Stan Getz. Ovviamente non possiamo non citare anche Desafinado, il cui testo esplicita proprio l'amore dell'autore per la musica raffinata e non granché capito dagli altri (sempre Jobim). Sempre della fine degli anni cinquanta sono queste bellissime canzoni: Se todos fossem iguais a vocé (cantata da Agostinho dos Santos, 1958). Dindi (cantata da Lùcio Alves, 1958).












Bossa nova prima parte

La bossanova é un genere musicale che nasce in Brasile attorno alla seconda metà degli anni cinquanta. Molti conoscono di più il termine samba per indicare un suono e una cultura assolutamente brasiliani, caratterizzati da ritmi molto ballabili più o meno veloci e da un sottofondo di atmosfera che evoca tropicalità.
La bossanova, il cui termine non molto traducibile sta ad indicare una sorta di sonorità cullante, rilassante (bossa) e assolutamente innovativo per l'epoca (nova) si potrebbe definire un miscuglio di cultura afro (jazz) sud americana (sonorità tropicali) e portoghese o più semplicemente latino europea (melodia) e in questo pare proprio racchiudere le diversità presenti in Brasile, per quanto venga spesso identificata come musica estremamente sofisticata e difficile, se non come monotona o noiosa per le peculiarità che però rimandano a quanto appena detto.
La bossanova é soprattutto una musica che vuole essere rilassante e al contempo riconoscibile e molto legata al jazz, dunque facilmente esportabile in tutto il mondo come é accaduto in modo clamoroso ai tempi della moda delle musiche cubane (mambo, salsa, merengue ecc.), del rock'n roll e della nuova generazione di jazzisti celebri nei famosi inizi anni '60.
Le contaminazioni presenti in ogni genere musicale tipiche degli anni '60 e soprattutto verso la fine del decennio,ovviamente determinano anche nella bossa leggere differenze di stili presenti nei tanti vari artisti brasiliani che però riconducono sempre alla riconoscibilità, con parecchio uso di fiati (flauto traverso in primis), strumenti a corda (pianoforte, organo hammond e quant'altro), batteria, chitarre, e quanto altro sia sonorità tipicamente anni '60 e tipicamente brasiliana.